NEUROCOVID: quando il virus raggiunge il cervello

2 Dicembre, 2021 - 5 min di lettura - Autore Lisa Flematti - Revisore Stela Musteata

L’infezione da COVID-19 è oggi riconosciuta essere una malattia multiorgano che presenta un ampio spettro di sintomi. Nonostante gran parte di noi conosce ormai bene le manifestazioni più comuni che si presentano a livello dell’apparato respiratorio, non sono ancora così chiari gli importanti effetti che l’infezione può causare quando colpisce altri organi, tra questi anche il cervello. È stato infatti dimostrato che il virus della Sars-Cov-2 può accedere al cervello e colpire il Sistema Nervoso Centrale (SNC) e Periferico, causando l’emergere di alcuni sintomi a livello neurologico e psichiatrico. Tale quadro sintomatologico viene definito come NeuroCovid e si presenta in circa il 10-30% di coloro che hanno contratto la malattia da COVID-19.

Le prime evidenze rispetto all’accesso dell’infiammazione da COVID-19 al cervello vengono attribuite alla presenza di sintomi come l’anosmia (i.e. perdita o riduzione dell’olfatto) e l’ageusia (i.e. perdita del gusto). Si ipotizza che questi due sintomi possano essere identificativi del virus. Accanto ad essi, durante il decorso della malattia, viene spesso riferita una condizione mentale, caratterizzata da un generale rallentamento cognitivo, stanchezza, difficoltà di concentrazione, disorientamento e confusione mentale, che spesso viene definita come “Brain Fog” o “Nebbia cognitiva”. Questi sintomi sono solitamente transitori e limitati nel tempo. Tendono infatti a risolversi spontaneamente. Tuttavia, in alcuni pazienti, circa 1 soggetto su 5 guarito da COVID-19, è stato dimostrato che anche a seguito della guarigione dal COVID-19, può permanere la sensazione di generale rallentamento cognitivo. La permanenza di alcuni sintomi di tipo neurologico e cognitivo e psichiatrico oppure lo sviluppo di tali sintomi in seguito alla negativizzazione del tampone, anche a distanza di settimane, prende il nome di “Long Covid”.

I sintomi possono presentarsi in tutti i soggetti che si sono ammalati di COVID-19, indipendentemente dalla gravità dell’infezione in fase acuta. È stata infatti dimostrata la loro presenza anche in coloro che hanno sviluppato una risposta lieve o asintomatica al virus.

I sintomi neurologici e cognitivi che sono maggiormente riferiti sono: difficoltà di memoria a lungo termine (sia verbale che non verbale), difficoltà visuo-spaziali e disfunzioni esecutive (i.e. attenzione, concentrazione, capacità di pianificazione), memoria di lavoro e velocità di elaborazione.

Accanto a questa sintomatologia di ordine neurocognitivo l’infiammazione da COVID-19 può presentare ripercussioni anche a livello psichiatrico. Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che la presenza di uno stato infiammatorio può essere un importante fattore di rischio per lo sviluppo di diverse patologie, in particolare di sintomi di depressione. Depressione e infiammazione sembrano essere legate da una relazione bidirezionale di influenza reciproca.

In pazienti che hanno contratto il COVID-19 sono stati diagnosticati principalmente sintomi depressivi, d’ansia, d’insonnia, di stress post-traumatico o di tipo ossessivo-compulsivi. Uno studio condotto presso l’ospedale San Raffaele di Milano ha riportato che circa un terzo dei pazienti ricoverati per forme gravi di COVID-19, a 3 mesi dalla dimissione riferisce almeno uno di questi disturbi. A soffrirne maggiormente sono gli anziani che, a causa della diminuzione dell’omeostasi immunitaria dipendente dall’età, sono più esposti alla probabilità di sviluppare difficoltà psicologiche. Sono inoltre considerati a rischio le donne e i soggetti già fragili emotivamente prima della pandemia.

Autore Lisa Flematti

Revisore Stela Musteata


LETTERATURA NEUROCOVID

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